30 anni di esperienza nella cura CHIVA

 e la gestione del paziente operato di CHIVA

Ero ancora un giovane medico quando nel 1989  in un congresso in Sardegna ascoltai una relazione del dr. Claude Franceschì e mi interessai da subito alla sua metodica, la CHIVA. Iniziò così un va e vieni Parigi-Firenze, due o tre giorni alla volta, viaggiando di notte con il treno in modo da risparmiare soldi sull’albergo. Ci sono andato per oltre 50 volte. Ho effettuato due stage  anche a Chateau Gontier presso il Dr. Marc Bailly, il medico che nel 1990 ha descritto l’occhio safenico.

CHIVA Bailly
25 Gennaio 1991 – Chateau Gontier ( Francia) in visita al Dr. Marc Bailly , un pioniere della CHIVA

All’inizio non era affatto tutto chiaro, di problemi da risolvere ce ne erano tanti, ma l’entusiasmo era forte almeno quanto le critiche feroci che ci venivano fatte nei convegni.

Il tempo è passato, molte cose sono cambiate, e molta esperienza di casi positivi  si è accumulata. Abbiamo anche fatto tesoro dei fallimenti per migliorare la CHIVA , fino ad arrivare ai giorni nostri in cui la CHIVA è ratificata a livello internazionale da studi scientifici che dimostrano il minor numero di recidive rispetto alle altre metodiche.

Si perchè la CHIVA non è un intervento chirurgico, ma una strategia costruita sul paziente. E’ come fare al paziente un vestito su misura. I pazienti chiedono spesso agli specialisti se fanno la CHIVA o se la CHIVA viene fatta in Ospedale confondendo questa metodica con qualcosa di più comune, come un esame Rx o un intervento codificato come l’ernia inguinale o il trattamento laser della safena. Se prendo 10 pazienti con le vene varicose e li tratto con il laser endovenoso farò 10 interventi uguali, se li tratto con la CHIVA non ce ne sarà uno uguale all’altro.

15-18 Settembre 1994 – Una delle prime relazioni congressuali sulla CHIVA in Italia

La ricerca che dovrebbero fare i pazienti non è “chi fa la CHIVA” “dove la fà” “c’è qualcuno che la fa sotto casa mia?”, ma chiedersi che esperienza ha questo operatore? dove l’ha imparata? Magari in un corso o in un congresso.

Altra cosa importante è il risultato estetico che il paziente si aspetta di raggiungere dopo l’intervento. Una cosa è togliere le vene con microincisioni (flebectomie) o bruciarle con il laser o riempirle di schiuma, il risultato sulla loro scomparsa è scontato, se le tolgo non ci sono più… altra cosa è fare si che si sgonfino senza toglierle. Il risultato è di molto superiore alle tecniche che rimuovono le vene, ma non sempre è sufficiente  ed a  questo punto entra in gioco la scleroterapia di rifinitura. La scleroterapia ha in questa situazione un significato completamente diverso da quando vengono trattate con la schiuma le vene varicose. Poichè il riassorbimento delle vene dopo CHIVA avviene piano piano nei tre mesi successivi all’intervento, è molto importante ricontrollare il paziente dopo l’intervento, sia per verificare con l’eco-doppler che la circolazione abbia ripreso la direzione voluta, sia per vedere se c’è necessità di fare qualche ritocco. I controlli e gli eventuali “ritocchi” dovranno essere fatti dallo stesso operatore che ha fatto sia la cartografia che l’intervento, e non da altri.

Quindi la gestione di un paziente operato di CHIVA non è come quella di un paziente operato di un altra metodica, ma prevede obbligatoriamente dei controlli eco-doppler e clinici da fare dopo l’intervento e durante uno di questi controlli è possibile che si decida di effettuare una completamento scleroterapico per un miglioramento estetico.

I buoni risultati della cura CHIVA quindi arrivano sempre, ma se è un operatore unico a prendersi cura del paziente è meglio. Le competenze necessarie sono quelle che ogni flebologo dovrebbe avere, cioè l’esperienza in diagnostica emodinamica , chirurgia , elastocompressione e scleroterapia , come è spiegato qui .

 

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